DELL’IMPOSTA FONDIARIA i
proteste da parte di senatori e anche della Federazione italiana sindacati agricol-
tori. E lo ha ridotto a tre. Ed ha fatto bene.
Non bisogna, infatti, guardare i numeri indici dei prezzi pubblicati, ad esempio,
dalla Camera di commercio di Milano. A stare ad essi il coefficiente dovrebbe es-
sere, per lo meno, di sei e mezzo. Ma i prezzi dai quali si ricavano i numeri in-
dici della Camera sono i prezzi all’ingrosso praticati nel commercio. E nel caso
concreto del reddito fondiario si tratta dei prezzi quali vengono praticati dai sin-
goli produttori diretti di tutta l’Italia, dagli agricoltori, che compiono il primo di
quella serie di successivi scambi da cui poi, nelle piazze, vengono fuori i prezzi
all’ingrosso del commercio. E si capisce che questi prezzi debbono essere più e-
levati che all’origine. Si ha ragione, inoltre, di ritenere che tale elevazione si debba
essere avverata negli anni pìù recenti (anni di speculazioni) in proporzioni ben
maggiori che in passato. Nè è da dimenticare che, nel dopo guerra, i datori di la-
voro agricoli, i proprietari fondiari, ecc. cedono ai lavoratori una quota del prodotto
lordo più elevata di quanto non avvenisse nei periodi precedenti.
Bene diceva, pertanto, l’on. Arrigo Serpieri, alla Camera dei deputati, ragio-
nando appunto intorno a questa materia: « Ricerche che anche personalmente,
come modesto studioso di economia agraria, ho potuto fare, mi portano a ritenere
che il reddito fondiario dominicale non sia aumentato dal 1. gennaio 1914 ad oggi
che in un rapporto assai minore di questo di uno a quattro ».
Fissato il moltiplicatore a 3, si fa presto il conto della pressione. L’ estimo sa-
lirà a 4 miliardi e 401 milioni. L’insieme della fondiaria erariale e delle sovrim-
poste locali — queste ultime ora fortunatamente bloccate — è di 1 miliardo e 68
milioni. L’ aliquota o pressione complessiva — giacchè chi deve pagare si cura poco
se paghi allo Stato o agli enti locali — sarà di circa il 25 per cento.
Ma così resteranno le cose — a norma del decreto-legge 16 ottobre 1924 — solo
per altri quattro anni. Col 1. gennaio 1929 le addizionali comunali e provinciali do-
vranno abbassarsi (e auguriamoci che abbiano torto quelli che, considerate le tri-
stissime condizioni dei bilanci locali, dubitano molto, della possibilità dell’ abbas-
samento). Le addizionali, nel complesso, non potranno salire sopra i 500 centesimi
per ogni lira di imposta fondiaria erariale. Restando sempre fissato a 3 il molti-
plicatore, la pressione totale verrà ad essere per ciò del 20 per cento. L’ aliquota,
cioè, scemerà del 5 per 100 e la minore somma effettiva prelevata ai proprietari
sarà di 180 milioni, che saranno perduti, in confronto all’ oggi, dagli enti locali,
Ed ora, scartando la considerazione di altre imposte e tutto il serpentino gioco
delle ripercussioni ed incidenze tributarie, eccomi alla domanda a cui tendevo:
possono chiamarsi eque queste aliquote fondiarie?
Se ammettiamo... per larga concessione che il reddito fondiario padronale cor-
risponda al reddito di puro capitale della categoria A dell’imp. di ricchezza mobile
— il che, in verità, è da pochi reputato inammissibile — allora si può ritenere che
l'equità formale, comparativamente, non sia lesa ai danni dell’ agricoltura.
Quanto all’ equità reale, mi limtto a rammentare che l’esatto accertamento del
reddito fondiario influisce potentemente sull’ esattezza dell’ accertamento delle im-
poste personali, pagate dai proprietari (imposta di successione, nei limiti in cui ora
resta, imposta patrimoniale, imposta complementare sul reddito, ecc.). E ciò a dif-
ferenza di quanto avviene per i possessori di titoli mobiliari, di crediti non regi-
strati, di moneta, ecec.). »
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